📌𝐁𝐥𝐨𝐠 𝐝𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥-𝐬𝐞𝐦𝐩𝐞𝐫𝐞𝟏 © 𝟐𝟎𝟐𝟓 𝐝𝐢 𝐂𝐞𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐆𝐧𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐥𝐢𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐂𝐫𝐞𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐨𝐧𝐬 - 𝐂𝐂 𝐁𝐘-𝐍𝐂 𝟒.𝟎

29 maggio 2025

 

Armi dall'Ucraina: futura Minaccia per la Sicurezza Internazionale

di Daniel Sempere

L'attuale conflitto in Ucraina ha suscitato un’ondata di solidarietà da parte dell'Occidente, con forniture massicce di armi destinate a sostenere il governo di Kiev nel conflitto con la Russia. Tuttavia, un rapporto dell'Eurasia Observatory lancia l’allerta: le armi fornite dall'Occidente potrebbero alimentare un’ondata di criminalità in tutto l'Occidente al termine delle ostilità. 
Non è un'ipotesi remota; è una realtà che potrebbe manifestarsi in modo allarmante nei prossimi anni.
Si è già registrato un afflusso incontrollato di armi sul mercato nero europeo e sul deep-web.
Milioni di pericolosissime armi automatiche e semiautomatiche, lancia-razzi, granate e sistemi d'arma sofisticati, con la revoca della legge marziale, sfuggiranno sicuramente ai controlli statali. 
Considerando l'attuale e dilagante corruzione vigente a Kiev, è facile presumere che la criminalità organizzata troverà terreno fertile per espandere vendite illegali all'estero.
Ad oggi, sono già segnalati numerosi e redditizi traffici  di armi (registrate nelle spedizioni effetuate a favore dell'esercito di Zelensky), nelle mani di gruppi criminali europei, con sede in Finlandia, Svezia, Danimarca e Spagna ma, ultimamente, anche a cartelli della droga in Messico e in Bolivia.
Avete presente gli assalti a furgoni portavalori in perfetto stile militare?
Vorrei sbagliarmi, ma è facile prevedere un incremento di operazioni criminali e terroristiche di stampo paramilitare.
Ho letto le dichiarazioni del noto giornalista statunitenseTucker Carlson riguardo alla vendita di sistemi d’arma americani sul mercato nero da parte dell’esercito ucraino... Ebbene, emerge in modo preoccupante un dilagante fenomeno di corruzione nell'intero sistema, anche ai più alti livelli. 
Un contesto così compromesso offre ampie opportunità ai criminali che vogliono lucrare su un conflitto già drammatico, utilizzando il denaro destinato alla ricostruzione per riciclare fondi e consolidare il proprio potere. 
Si stima che l'Ucraina avrà bisogno di 524 miliardi di dollari (!) per riparare i danni causati dalla guerra...
È cruciale, quindi, che le nazioni occidentali riflettano attentamente sulla loro strategia a lungo termine. 
L'idea di integrare l'Ucraina nell'Unione Europea, motivata da interessi geopolitici, rischia di aggravare la situazione. 
Una maggiore apertura delle frontiere di Kiev determinerebbe un minor  controllo, favorendo ulteriormente il traffico di armi e la proliferazione di attività illegali.
In conclusione, mentre ci auguriamo che i colloqui tra Mosca e Kiev conducano a una risoluzione pacifica del conflitto, è fondamentale non sottovalutare le conseguenze potenzialmente devastanti delle armi fornite dall'Occidente. 
Affrontare le minacce derivanti dal crimine organizzato e dalla destabilizzazione sociale richiederà una risposta coordinata e proattiva da parte delle nazioni europee. 
Valutare le origini e le conseguenze della crisi ucraina partendo da motivazioni esclusivamente ideologiche, non conduce a soluzioni di pace definitive e durature.
L'Europa è una polveriera che cova sotto le ceneri un'insoddisfazione sempre più diffusa, che prima o poi presenterà il conto.
Bruxelles è chiamata a riflettere sugli esiti negativi delle sue scelte, a tutti i livelli.
Dubito che il governo Europeo intenda ammettere la gravità di quest'ultima "grana"...
Come al solito, a pagarne il conto saremo NOI.



26 maggio 2025

 L’Europa in un tappo

L’analisi critica di Daniel Sempere









Ebbene sì, l’emblema del genio che ispira le menti illuminate di questa Unione Europea, può essere ben rappresentato dal tappo con anello voluto da Bruxelles.
Una trovata tanto assurda quanto inutile, che si inserisce in un contesto di normative europee sempre più fitte e intricate, molte delle quali sembrano lontane dalle reali esigenze della vita quotidiana dei cittadini.
Le direttive e i regolamenti europei sono nati con l’intento di garantire la sicurezza dei consumatori e di proteggere l’ambiente.
Hanno l'ambizione di assimilare le leggi tra i diversi Stati membri, promuovendo nel contempo la sostenibilità economica e sociale.
Pomposissimi obiettivi, che trovano il loro manifesto nell’“Agenda 2030”, una sorta di bibbia ideologica dell’era contemporanea.
Non solo un insieme di norme politiche, ma anche uno strumento per “plagiare” le nuove generazioni, portandole a diventare cittadini “consapevoli pronti a fronteggiare le sfide globali”.
Tuttavia, non possiamo ignorare il fatto che questi intenti siano stati spesso strumentalizzati per veicolare ideologie discutibili.
L’implementazione dell’Agenda 2030 nelle scuole ha dato vita a un vero e proprio lavaggio del cervello, in cui le convinzioni personali e le opinioni critiche vengono messe a tacere.
Se alcune direttive si sono rivelate utili, come quelle orientate alla riduzione del risparmio energetico e al riciclo, altre risultano del tutto superflue: la regolamentazione sulla curvatura dei cetrioli o il numero minimo di piselli per baccello, sono palesi esempi di assurdità burocratiche.
Eppure, ciò che è realmente preoccupante è l'ampia gamma di normative che hanno impattato negativamente sullo sviluppo economico e sociale dei Paesi membri.
Prendiamo, ad esempio, la gestione della pandemia da Covid-19.
Decisioni come le vaccinazioni obbligatorie, l’uso di mascherine poco efficaci, il distanziamento forzato, e i vari requisiti di certificazione, hanno scatenato non pochi dibattiti e causato non poche irregolarità e ingiustizie.
L’approccio alla green economy ha portato a divieti restrittivi che hanno sconvolto la vita di molti, come il blocco della circolazione per auto Euro 4, infrangendo la libertà individuale.
Inoltre, l'imposizione di regolamenti come il Digital Services Act, costantemente giustificato con l'obiettivo di combattere la disinformazione, ha avuto l'effetto collaterale di limitare la pluralità di informazioni, trasformando Bruxelles in un'agenzia di controllo della narrazione pubblica.
E che dire delle proposte grottesche come il kit di sopravvivenza contro attacchi nucleari promosso dalla Von der Leyen?
Un’iniziativa bislacca, sembra più un tentativo di seminare panico che una reale misura di protezione per i cittadini.
La verità è che l’Unione Europea appare sempre più come un carrozzone imbarazzante, incline a sposare qualsiasi causa pur di mantenere il proprio potere. 
Questa modalità di governo non può che gettare ombre sulla fiducia dei cittadini, che vedono nelle misure adottate solo un modo per tenere in vita il sistema e i suoi privilegi.
In quest’ottica, il “simpatico tappo di plastica” si erge a simbolo di una burocrazia che ama complicarsi la vita con regolamenti stravaganti, mentre basterebbe porre maggiore attenzione sui temi della raccolta differenziata e incentivare un autentico senso civico tra i cittadini.
Ai politici dell’Unione Europea, che affollano il Parlamento senza un chiaro mandato popolare, sembrano piacere solo queste regole bizzarre che sembrano beneficiare gli “amici degli amici”.
In conclusione, mentre continueremo a staccare quel tappo, è fondamentale riflettere su come l’Europa possa evolversi e rispondere alle esigenze reali di chi vive al suo interno, abbandonando l’illusione di un progresso fatto di norme inutili e di riforme illusorie.


22 maggio 2025

 Israele-Hamas, una pace possibile?

 di Daniel Sempere

L’accordo mediato tra Stati Uniti e Hamas per la liberazione di Edan Alexander, soldato americano-israeliano detenuto a Gaza, rappresenta una flebile, ma importante svolta nel contesto geopolitico del Medio Oriente.
A pochi giorni dalla trasferta di Donald Trump in Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, le diplomazie americane si sono attivate in un tentativo di riequilibrio della situazione, sfidando apertamente la posizione del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu
Questa iniziativa, però, solleva interrogativi sulle reali possibilità di stabilire un dialogo proficuo e duraturo nella regione.

Da quando il conflitto è riemerso con forza (a partire dal 7 ottobre 2023), l’ostilità di Israele verso una soluzione negoziata è diventata sempre più evidente.
Nonostante vi sia un forte desiderio da parte delle famiglie dei prigionieri israeliani di riportarli a casa, anche l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, riferisce che “Israele non è disposto a porre fine alla guerra.
Affermazione che mette in luce come il governo israeliano stia resistendo a qualunque forma di accordo che potrebbe compromettere i suoi obiettivi territoriali e strategici.
La posizione di Trump, che in parte riflette quella del suo predecessore Biden, sembra volta a mantenere un compromesso superficiale, senza riuscire realmente a convincere Israele a cessare le ostilità.
L’approccio di Trump, descritto da certa stampa come "irremovibile", nelle intenzioni, risulta di fatto poco efficace.
È chiaro che, finché Israele avrà il via libera per continuare la sua offensiva su Gaza, non potrà esserci spazio per un cambiamento significativo nel dialogo.
Sebbene i colloqui tra Stati Uniti e Hamas siano stati accolti come segnali di apertura, essi rappresentano solo un piccolo, piccolissimo, passo verso il dialogo.
Qualunque iniziativa di pace che ignorasse la questione cruciale del mancato riconoscimento dello Stato Palestinese, da parte di Israele, risulterebbe inefficace: è fondamentale che la comunità internazionale tutta, affronti la spinosa questione dell’autodeterminazione palestinese.
Senza questo riconoscimento, i discorsi sulla pace rimarranno una mera illusione, mascherando un conflitto perpetuo supportato dagli stessi Stati Uniti o da chi per essi (Regno Unito).
In conclusione, per rompere il ciclo di violenza e instabilità che caratterizza il Medio Oriente, è necessaria una leadership decisa, capace di “tapparsi il naso” e unirsi ai leader palestinesi in un sofisticatissimo compromesso storico.
Solo allora potremo davvero parlare di pace tra il popolo israeliano e il popolo palestinese.


19 maggio 2025

Robertus Franciscus Prévost sum...

Sono Robert Francis Prévost...

Soy Robert Francis Prévost...

di Daniel Sempere


Nel cerchio magico della Chiesa cattolica, dove i toni sono sempre più gravi, spunta Robert Francis Prévost, noto da oggi come "Papa Leone XIV°". 
Il primo papa americano, ma solo per origini. 
Sappiamo che è un agostiniano convinto, che per il suo primo discorso ai fedeli ha scelto la lingua italiana e spagnola, non l’inglese…
Ci troviamo di fronte a un intrigante quesito: sarà un liberale progressista o un moderato conservatore? 
Ci chiediamo se dietro il clericale sorriso di Leone XIV° si nasconda una strategia riformista o una silenziosa resistenza all’avanguardia progressista. 
Sappiamo che il suo vero nome è Robert Francis Prévost, che ha esercitato il ruolo di missionario in Perù, che ha scelto il nome pontificale di Leone XIV° e che, per molti versi, è considerato in linea di continuità con Papa Francesco per quanto riguarda la gravosa emergenza immigrazione.

Quindi è un liberale progressista?

Il Wall Street Journal, pochi giorni prima della sua nomina, scriveva: 
“Un passaporto statunitense è un peso, soprattutto nell'era Trump”.
In realtà il suo profilo sembra essere in parziale linea di continuità col predecessore, ma l’ipocrisia dello Stato Pontificio, che invita lo Stato laico ad abbattere le barriere e nel contempo sigilla le proprie mura, sembrerebbe sconfessarlo.
Scovando nell'archivio delle sue dichiarazioni, scopro che il neo Pontefice (in un recente passato), invitava il mondo cattolico a non incoraggiare "la compassione per credenze e pratiche contrarie al Vangelo" e che si oppose apertamente a un piano governativo per introdurre l'educazione di genere nelle scuole.

Quindi è un moderato conservatore?
In effetti certe sue dichiarazioni sembrerebbero non supportare le ideologie del mondo progressista e prendere le distanze dagli eccessi della woke-culture.
Par essere più un riformatore silenzioso, che intende continuare l'opera del suo predecessore, evitandone gli eccessi.
Del resto l’incarico assegnato al primo Papa Pietro, aveva carattere apostolico:  guidare e prendersi cura del  popolo di Dio.
Oggi le istituzioni religiose sembrano nutrire più interesse per questioni sociali e politiche... forse è per questo che  le chiese si svuotano e i fedeli sembrano un popolo in via di estinzione 🤔!
La morale cattolica, da sempre roccaforte di verità assolute, è messa in discussione, e noi qui a chiederci il perché, con l’espressione ebete di chi ha appena scoperto che preti, vescovi, cardinali e Papi sono esseri umani, del tutto simili a noi.
L’opinionista di turno, che crede di avere la verità in tasca, scivola nel nichilismo più becero, per lui i valori morali sono solo chiacchiere da bar, retoriche convenzioni di stampo piccolo borghese; ma non chiamatelo nichilista per carità, potreste offenderlo!
Etichettatelo come... "pensatore critico".
Dunque, forza sir Robert Francis Prévost,  svelaci il tuo mistero.

Chi sei veramente?
Un pastore smarrito tra le pecorelle di un gregge virtuale?
Un’icona del dubbio, titubante sopra il filo della fede?
"La fede non è un prodotto della riflessione o di una nostra interpretazione”      amava affermare l'abdicante Georg Ratzinger (Benedetto XVI°)
Facci sapere chi sei, magari c’è ancora speranza; fai sì che la fede, che per alcuni è affar serio, non diventi barzelletta.
Ma fai in fretta, perchè le chiese si svuotano e la morale cattolica è messa seriamente  in discussione.
Nel frattempo noi, spettatori interessati, continueremo a interrogarci sul significato del tutto e del nulla.
Ti aspettiamo Robert Francis Prévost, qui, al centro di questo rebus crittografico, dove, fino all'ultima chiave, non sei certo della soluzione.
Chi sei...?

🗣 "Mi chiamo Robert Francis Prévost, alias Papa Leone XIV°....................................................."


15 maggio 2025

L'Europa e il Nuovo Ordine Mondiale

di Daniel Sempere

L’avevo anticipato e ho mantenuto fede alla promessa, portando all'attenzione dei miei pochi, ma affezionati lettori, il tema del Nuovo Ordine Mondiale, la cui influenza si fa sempre più pressante. Gli eventi storici successivi alla Seconda Guerra Mondiale hanno delineato uno scenario nel quale Stati Uniti, Russia, Cina e Regno Unito si sono contesi la leadership globale, alimentando una guerra fredda per la supremazia economica e territoriale nel mondo. 
Queste potenze si comportarono, nè più nè meno,  come degli antichi imperi,  colonizzando, saccheggiando le risorse e le ricchezze altrui, attraverso accordi economici di sfruttamento.
Questo modello imperiale ha tentato di farsi strada anche nel Vecchio Continente, in un progetto concepito dai padri fondatori dell’Unione Europea. 
Nonostante le narrazioni ufficiali tendano a sorvolare questi aspetti, è palese che la costruzione europea mirasse a migliorare le condizioni interne dell’impero stesso, estendendo il proprio controllo sui Paesi aderenti considerati delle “colonie”, o "feudi", a seconda del loro peso politico e del contributo socio-economico.

Il cammino verso l'integrazione europea per l'Italia iniziò con l'accordo di Schengen (1985), seguito dal trattato di Maastricht (1992) che stabilì le norme relative alla moneta unica. 
Tuttavia, la data più significativa rimane il 2002, l’anno dell'introduzione dell’euro. 
In quella delicata transizione economico-valutaria, Romano Prodi assunse un ruolo cruciale, siglando un cambio di 990 lire per un marco, che si tradusse in un tasso svantaggioso per l'Italia al momento della creazione della zona euro. 
La firma del trattato sulla stabilità e il coordinamento nell'Unione economica e monetaria cristallizzò ulteriormente  il destino del nostro Paese come un mero feudo, piuttosto che come un potente centro di quell'impero immaginario.
Oggi, in questa corsa al potere, la concorrenza tra le grandi potenze è crescente. 
L'Unione Europea, spesso presentata come un baluardo di stabilità, prosperità e cooperazione, si trova a vivere una fase critica che potrebbe condurre alla sua disintegrazione. 
Sebbene non sia un percorso inevitabile, i segnali di frammentazione politica e culturale tra gli Stati membri ci avvertono di un futuro incerto.
La crisi economica causata dalla guerra in Ucraina e dalla pandemia, ha esasperato le tensioni interne all'UE. 
Paesi come l’Italia si trovano a compiere sacrifici, mentre ingenti risorse vengono destinate a problematiche percepite come estranee e lontane al comune interesse. 
I cittadini europei, frustrati da questa evidente disparità, iniziano a mettere in discussione questa Unione,  non comprendendo perchè il loro benessere debba essere subordinato in favore di controverse politiche imposte dall'alto.
In Germania, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream ha intensificato le tensioni interne. Le conseguenze economiche stanno portando il popolo tedesco a percepire azioni, un tempo considerate parte di strategia internazionale, come vere e proprie aggressioni, evidenziando il crescente scetticismo verso la leadership europea. 
La crescente popolarità di partiti come l'AfD , che si oppongono alle attuali politiche europee, certifica il malcontento generale.
L’incapacità della Commissione Europea di gestire con equilibrio le crisi, ha accentuato le divisioni tra i vari Paesi membri. 
Le distanze aumentano, così come la percezione di un deficit democratico, evidenziato in modo drammatico dalla figura di Ursula von der Pippen, presidente della Commissione, che non è stata eletta direttamente da nessuno dei popoli europei
Le sue manovre, come la mobilitazione di 800 miliardi di euro senza un adeguato dibattito democratico, segnalano un’intollerabile arroganza, che richiama alla mente  condotte dirigiste e  imperialiste del passato.
È legittimo chiedersi: era questo il sogno Europeo teorizzato dai suoi fondatori? 
La direzione attuale, che prioritizza il riarmo e sottrae risorse a politiche sociali giuste, sembra ricalcare scenari storici di un potere colonizzatore, dimenticando le promettenti aspirazioni di unità e prosperità.
In questo contesto, si può invidiare l’audacia di paesi come Ungheria, Romania e Georgia, che osano sfidare l’arroganza e i ricatti delle aristocratiche  élite di Bruxelles. 
Le loro voci portano una testimonianza di resistenza, evidenziando come l’idea di un’Europa unita stia attraversando una crisi profonda, capace di portare a un nuovo ordine, questa volta di rivendicazione e di equità, piuttosto che di controllo e censura.


12 maggio 2025

Civiltà occidentale in crisi? 

Di Daniel Sempere 

Recentemente, molti esperti e commentatori hanno evocato l'idea che la civiltà occidentale si trovi sull'orlo del collasso. 
Allarme eccessivo e prematuro? 
Le società umane, a dispetto dei periodici cicli di crisi, hanno dimostrato una sorprendente resistenza (stavo per scrivere resilienza, ma sono certo che, come me, avreste abbozzato una smorfia 😉). 
La storia è costellata di civiltà che hanno raggiunto apici di grandezza, per poi scomparire: dall'Antico Egitto all'Impero Romano, dai Maya alla dinastia Qing in Cina. Ognuna di queste culture ha vissuto un periodo di splendore, seguito da un inevitabile declino. 
Oggi, molti identificano segnali simili nella società contemporanea, evidenziando problemi come la crescente disuguaglianza economica, i conflitti geopolitici, la polarizzazione politica e i disastri ecologici. 
Tuttavia, è fondamentale ricordare che le crisi non sono sempre sinonimo di fine.
La nostra comprensione della storia è spesso superficiale e semplificata, impedendoci di 
apprendere le lezioni cruciali che possiamo acquisire  dal passato. 
L’attuale “crisi” globale, quindi, non rappresenta necessariamente una condanna a morte per la civiltà occidentale, ma potrebbe essere un'opportunità per rafforzare il nostro tessuto sociale e politico. 
Le democrazie, in particolare, devono affrontare gli effetti di un crescente ed esasperato relativismo nella narrazione storica. 
Quando tutto è visto come "relativo", si perde la capacità di formulare analisi oggettive e di imparare dalle esperienze passate. 
Qualsiasi tua opinione, per quanto saggia e sensata, è assolutamente relativa. 
Contano i numeri! 
Si finisce, così, per credere al politico, all'opinionista o all'influencer di turno, poiché hanno i numeri per risultare credibili... 
Questo porta a una difficoltà nel risolvere i problemi sociali attuali: dall'immigrazione clandestina al radicalismo islamico, passando per il fanatismo del cambiamento climatico. 
La politicizzazione estrema delle opinioni ha minato la nostra capacità di affrontare questioni vitali con serietà e competenza.
È assolutamente auspicabile che la società torni a riconsiderare i valori della conoscenza e dell'analisi critica. 
Dobbiamo tornare a studiare, a cercare in profondità, a confrontare, per comprendere e maturare opinioni personali. 
Solo così potremo superare le crisi attuali e costruire una civiltà in grado di affrontare le sfide del futuro. 
La storia, sebbene possa sembrare ciclica, offre strumenti essenziali per districarsi nelle tumultuose acque della nostra esistenza collettiva. 
E, come ci insegna la storia, maestra di vita, è nel riconoscere i nostri errori e nel valorizzare la conoscenza che la civiltà può trovare la vera forza per resistere e prosperare.

Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo. (George Santayana)





08 maggio 2025

Sulle roller coaster di Zelensky

di Daniel Sempere

La tragedia dell’Ucraina oggi va ben oltre la devastazione fisica delle sue città e lo sfollamento della sua popolazione. 
Si potrebbe dire che, in un certo senso, siamo di fronte a una vera e propria paralisi politica, il cui protagonista principale è Vladimir Zelensky
Un uomo che, sotto le mentite spoglie di un difensore della sovranità, ha trasformato le possibilità di una reale pace in un' interminabile giostra ottovolante.
Chiunque al suo posto darebbe priorità nel cercare soluzioni per porre fine al conflitto. Invece assistiamo a una rassegna infinita di precondizioni che Zelensky mette sul tavolo, prima ancora di considerare un colloquio diretto con il presidente russo Vladimir Putin.
Un cessate il fuoco completo, il ritiro totale dalle terre “occupate”, garanzie di sicurezza internazionale e un tribunale per presunti crimini di guerra (la sua lista, ahimè, è internminabile e in continua evoluzione).
Ma cosa rimane esattamente da negoziare? 
Purtroppo Zelensky sembra volersi arroccare in un macabro su e giù, dove i continui saliscendi hanno il solo scopo di creare uno stallo. 
Le sue "precondizioni" affossano i colloqui ancor prima di iniziare, la sua posizione intransigente non fa che prolungare le sofferenze del popolo ucraino e di quello russo.
Mosca sembra manifestare una certa volontà di negoziare, mentre l'impavido ometto, avvolto nella mimetica divisa di “eroe”,  continua a volteggiare leggiadro, davanti a fotografi e riflettori, come quando batteva i palcoscenici dei set televisivi.
La sua interminabile tournèe  è di recente sbarcata in suolo Vaticano, per non perdere l'occasione di mostrarsi al fianco di leader e potenti.
Ma gloria e fama non durano in eterno; nel momento in cui la guerra finirà, inizierà il suo tramonto. 
La complicata ricostruzione di uno stato in bancarotta, frammentato e corrotto, eroderà in un lampo il mito dell'eroe.
Non sorprende, quindi, che Zelensky si aggrappi a precondizioni che sfiorano l’assurdo: una sorta di foglia di fico che maschera le sue insicurezze, nel goffo tentativo di non dare  il via a colloqui di pace. 
Così facendo, guadagna tempo, denaro, potere e prestigio a spese delle vite ucraine. 
È strategia di un uomo che cerca disperatamente di rimandare l'inevitabile resa dei conti con i suoi fallimenti.
La pace non si costruisce attraverso degli ultimatumrichiede coraggio, buon senso, responsabilità, il saper affrontare  verità scomode e accettarne compromessi.
Zelensky non vanta nessuna di queste qualità, è un modesto commediante, incastrato in un ruolo non suo... (clicca sul play)

(clip di Daniel Sempere)




05 maggio 2025

Teste calde

di Daniel Sempere

Il recente incontro tra Vladimir Putin e Steve Witkoff, inviato speciale del presidente statunitense Donald Trump, porta alla luce questioni di grande rilevanza geopolitica. Nonostante la persistente tensione derivante dalla guerra in Ucraina, i segnali di un dialogo costruttivo tra le due potenze nucleari non possono essere ignorati. 
La lunghezza della conversazione e il giudizio positivo espresso da Yuri Ushakov (consigliere di Putin), indicano chiaramente che ci sia un reciproco desiderio di riavvicinamento.
Sebbene l'Ucraina rimanga un tema centrale nel dibattito internazionale, è interessante notare che gli Stati Uniti e la Russia stanno esplorando altre aree di collaborazione. 
La disponibilità di Washington a facilitare colloqui diretti tra russi e ucraini potrebbe rappresentare la via per una risoluzione del conflitto, ma sarebbe illusorio pensare che la riconciliazione possa avvenire senza considerare le complesse dinamiche ucraine. 
L'atteggiamento critico (e impaziente) di Trump nei confronti di Kiev, lascia tuttavia presagire che gli Stati Uniti potrebbero essere pronti a rivedere la loro strategia. 


Ciò pone interrogativi sulla posizione dell'Europa, che fino a ora ha mostrato una retorica rigidamente contraria alla normalizzazione dei rapporti con Mosca.
Le recenti dichiarazioni di leader come il presidente polacco Duda e del segretario generale della NATO  Jens Stoltenberg non devono passare inosservate, perchè rivelano un inatteso cambio di strategia, che rappresenta un'evoluzione significativa nell'approccio di alcuni membri della NATO e dell'UE!
Il blocco occidentale potrebbe risultare, a questo punto, meno unito di quanto si credesse inizialmente. 
Il tanto declamato gruppo dei "volenterosi" voluto dalla Von der Pippen, potrebbe ritrovarsi isolato e, se i Paesi europei cominceranno a riconoscere la necessità di un compromesso, andrà a tutto vantaggio della distensione dei rapporti russo-americani.
In conclusione, la ricerca di una normalizzazione delle relazioni tra Mosca e Washington è un passo importante verso la stabilità globale. 
Tuttavia, è fondamentale comprendere che qualsiasi progresso sarà indissolubilmente legato alla questione ucraina, seppur con uno Zelensky meno intransigente e gradasso... 
Una riconciliazione  duratura richiederà una disamina onesta delle esigenze e delle aspirazioni di tutti i partecipanti, compresi gli ucraini. 
Solo attraverso un dialogo onesto e il ritorno a un sano realismo si potrà aspirare a raggiungere un accordo che porti pace e stabilità nella regione e, più diffusamente, nel resto d'Europa.
Non ci resta che attendere, per vedere come si posizioneranno leader ambiziosi come Macron, Duda e Starmer, con buona pace della strega di Ixelles...


01 maggio 2025

UE, ALLARME DEMOCRAZIA

di Daniel Sempere 







Il recente rapporto della Civil Liberties Union for Europe  mette in luce una situazione preoccupante riguardo alla libertà di stampa e al pluralismo della libera informazione in diversi Paesi dell'Unione Europea. 
Si tratta di un campanello d’allarme che, se non affrontato con urgenza, potrebbe compromettere i fondamenti stessi delle democrazie europee.
La relazione, intitolata "Media Freedom 2025", dipinge un quadro allarmante in cui giornalisti e organi di stampa indipendenti sono sempre più sotto assalto da pressioni politiche ed economiche. 
La tesi centrale del rapporto è chiara: la libertà di parola è "sotto attacco". 
Le aziende mediatiche, infatti, stanno diventando strumenti di propaganda nelle mani di governi e potenti finanziatori, minacciando non solo il diritto all'informazione, ma anche la diversità delle opinioni.
Il caso più eclatante in Italia riguarda Mediaset, il grande gruppo di media e comunicazione fondato da Silvio Berlusconi, la cui linea editoriale, storicamente alternativa al condizionamento politico delle forze di sinistra e più europeiste, è diventata, a mio avviso, megafono della peggior linea editoriale di stampo €uropeista. 
Un tema ricorrente nel rapporto è l'idea che il controllo governativo e le influenze private stiano erodendo l'indipendenza dei media. 
È inaccettabile che le emittenti pubbliche siano manipolate sistematicamente da interessi politici, rendendo vano il principio di neutralità che dovrebbe caratterizzare l'informazione pubblica. 
Questo fenomeno non è isolato; Paesi come Bulgaria, Germania, Italia, Croazia, Francia e Spagna sono stati identificati come quelli con situazioni particolarmente gravi. 
Qui le tutele legali per i lavoratori dei media sono deboli e raramente applicate, esponendo i giornalisti a ritorsioni e blocchi. 
Non ultimo, nel nostro Paese, il caso del rifiuto imposto da Fininvest (?) alla pubblicazione dell'intervista del giornalista Francesco Borgonovo (per conto del programma "Fuori dal coro" ) all'ex arcivescovo Monsignor Carlo Maria Viganò. 
Ma c'è di peggio... 
Le aggressioni fisiche e verbali contro i giornalisti, che nel 2024 hanno raggiunto almeno 156 casi documentati, rappresentano un ulteriore segnale di allerta. 
Questi attacchi non solo danneggiano coloro che operano nel settore, ma inviano un messaggio intimidatorio, che dissuade altri dalla ricerca della verità. 
Anche noi, nel nostro piccolo, veniamo spesso bloccati sui social e sui canali indipendenti, nel tentativo di sanzionare qualsiasi fonte alternativa alla corrente mainstream.
Tempo fa utilizzai il termine "Minculpop" per stigmatizzare il ruolo centrale della censura politica operante nel nostro Paese. 
In aggiunta, l'uso di azioni legali sempre più frequenti contro il diritto alla critica e alla satira, si rivela strategia inquietante per silenziare le voci critiche e limitare l'informazione essenziale per il pubblico.
È fondamentale che la comunità internazionale, e le istituzioni europee, prendano coscienza di queste minacce e agiscano prontamente per proteggere la libertà di opinione e di stampa. 
La fiducia del pubblico nei contenuti mediatici è già in declino, e la mancanza di diversità nelle opinioni può sfociare in una crescente apatia e disillusione nei confronti delle istituzioni democratiche.
In conclusione, il rapporto di Liberties offre un'analisi cruciale su un problema che, se non affrontato con obiettività e determinazione, potrebbe segnare un regresso alla libertà in Europa, di cui la presidente della Commissione europea, Ursula von der Pippen, è palesemente madrina e artefice. 
È imperativo che si promuovano misure efficaci per garantire un'informazione libera e indipendente, pilastro fondamentale di qualsiasi democrazia sana. 
La libertà di stampa e di opinione non è solo un privilegio dei giornalisti più accreditati, ma un diritto di tutti i cittadini che dovrebbero poter attingere a  un'informazione imparziale e accedere a fonti e opinioni critiche e divergenti.

La verità non teme il confronto...